Passeggiando nel centro storico di Vieste, proprio alla base della scalinata che conduce all’entrata della Cattedrale, nei pressi della medievale “Porta ad Alt”, si trova una suggestiva stadina dal nome ricco di significato: Via Celestino V.
Pochi sanno che questa stradina commemora uno degli episodi più drammatici e misteriosi della storia della Chiesa: la fuga dell’eremita divenuto papa, e poi rinunciatario, Pietro del Morrone. Un uomo che, nella sua ricerca di pace, trovò sul Gargano rifugio… e destino.
Celestino V: fumata bianca dopo oltre 2 anni
La morte di papa Niccolò IV, il 4 aprile 1292, aprì uno dei conclavi più lunghi e complessi della storia della Chiesa. I cardinali, allora in numero di dodici, non riuscivano a trovare un accordo a causa delle profonde divisioni tra le fazioni dei Colonna e degli Orsini. Riuniti in varie sedi tra Roma e Perugia, rimasero in stallo per oltre due anni. Una violenta epidemia di peste ridusse il collegio a undici membri e costrinse allo scioglimento momentaneo dell’assemblea.
Nel marzo 1294, mentre Carlo II d’Angiò cercava con urgenza l’elezione di un pontefice per motivi politici legati alla questione siciliana, emerse il nome di Pietro del Morrone. Il monaco abruzzese, già noto in tutta Europa per la sua vita ascetica e profetica, aveva inviato un messaggio al cardinale decano Latino Malabranca, mettendo in guardia contro le conseguenze spirituali di una sede vacante troppo lunga. Colpito da quel messaggio, Malabranca propose l’eremita come candidato al soglio pontificio.
Nonostante lo stupore iniziale e le resistenze interne, la figura spirituale e apparentemente “gestibile” di Pietro fu vista come la via più pacifica per uscire dallo stallo. Il 5 luglio 1294, dopo 27 mesi di conclave, fu eletto all’unanimità. Aveva circa 84 anni. Alla notizia della sua nomina, Pietro si mostrò esitante e in lacrime. Pregò a lungo prima di accettare, dichiarando la sua obbedienza con profonda umiltà. In sella a un asino, accompagnato da Carlo II d’Angiò, raggiunse L’Aquila, dove fu incoronato il 29 agosto nella basilica di Santa Maria di Collemaggio con il nome di Celestino V.
Fin dai primi giorni del suo pontificato, tuttavia, apparve evidente il suo disagio. Totalmente estraneo alla complessa macchina burocratica della Chiesa, incapace di resistere alle pressioni curiali e politiche, Celestino manifestò un profondo senso di inadeguatezza. Dopo poco più di quattro mesi, il 13 dicembre 1294, nel corso di un concistoro a Napoli, rinunciò formalmente al pontificato con un atto di rara lucidità e coraggio, motivato da umiltà, fragilità fisica e desiderio di salvezza dell’anima. Una decisione storica, che continua a far discutere teologi e storici, e che fece entrare il suo nome nella memoria collettiva con il soprannome di “papa del gran rifiuto”.
Il “gran rifiuto” e la fuga
Dante Alighieri, nella Divina Commedia, lo definì con il celebre verso “colui che fece per viltade il gran rifiuto” (Inferno, III, 60), senza nominarlo esplicitamente. Una condanna ambigua, che nel tempo è stata reinterpretata: più che viltà, quella di Celestino fu una scelta di straordinaria umiltà. Paolo VI parlò di “rinuncia eroica”, e Benedetto XVI si ispirò proprio a lui nel 2013.
Dopo le dimissioni, il nuovo papa, Bonifacio VIII, temendo un possibile scisma o un ripensamento, ordinò di arrestarlo. Avvisato dai suoi fedeli, Celestino V fuggì da San Giovanni in Piano presso Apricena, passando per il Gargano con l’intento di raggiungere la Grecia, dove avrebbe trovato rifugio presso la comunità degli spirituali di Clareno.
Il rifugio sul Gargano
La fuga passò probabilmente da Rodi Garganico, dove Celestino si imbarcò. Ma la nave fece naufragio e l’ex papa trovò rifugio in un luogo imprecisato, “a quindici miglia da Rodi e cinque da Vieste”, dove trascorse nove giorni nascosto prima di essere catturato.
Numerose sono le ipotesi sul luogo preciso del rifugio. Lo storico viestano Giuliani indicò la spiaggia di Santa Maria di Merino. Il ricercatore Mimmo Aliota suggerì l’Abbazia di Santa Maria di Kàlena, vicino a Peschici, mentre altri, basandosi su fonti orali, ipotizzano una grotta rupestre chiamata “a grott ‘u papa”, situata in una pineta tra Peschici e Vieste, nella zona di Calalunga.
L’arresto di Celestino V a Vieste
Il 16 maggio 1295, Celestino fu arrestato da Guglielmo Stendardo II, connestabile del Regno di Napoli. Secondo la tradizione fu la spiaggia (forse quella di Santa Maria di Merino) dove il vascello che avrebbe dovuto portarlo in Grecia era stato respinto da una tempesta. Celestino interpretò quell’evento come un segno divino e decise di non tentare più la fuga. Disse: “Non è volontà di Dio che io fugga”.
Dopo l’arresto, fu rinchiuso nel castello di Fumone, dove visse in prigionia con due confratelli fino alla morte, avvenuta nel maggio del 1296. Nel 1313 fu proclamato santo e celebrato con il nome di san Pietro Celestino